Dov’è andata la notte?
E’ qui intorno il deserto
nello spazio orizzonte. Cammino
contro il sole che sale
con un lato scoperto.
Finalmente fa sera
e la parte mi brucia,
poggio l’altra al dormire.
E il giorno risale, riprende
nel deserto il cammino,
scoperto
su quel lato fa male.
Ora è piaga e non vedo
nonostante le stelle. Mi piego
su di un lato: è già l’alba
che mi scalda il dolore.
Uno strappo ci vuole
alla piaga che strazia
e trascino
nel deserto immutabile
questo corpo che trema.
Col pugnale recido
e nel sangue che bolle
ce la lascio marcire.
Ora tutto è coperto
anche il pezzo
che mi gocciola ancora,
una scia nel deserto e davanti
l’infinito per gli occhi.
Dov’è andata la notte?
L’urlo di stracci
(Dedicata a Siff, Soraya, Sophia, Saphiria e al disperato padre Faycal)
La luna non ha retto il graffio – stilla
di ghiaccio aguzzo d’ogni giorno.
Miseria-orgoglio
addensa fumo al piatto rotto.
Inciso resta l’urlo sulla soglia
di stracci
– come sparso
dall’onda che dispera.
Martire in vetrina
Sei tu l’eroe di questi giorni triti
e delle notti larghe d’asfissia.
Ti spingi in scorci di sorrisi ambiti
tu che ti neghi il sole e scacci via
l’anima pesta in lago morto senza
vento. Tu che ti spremi il sangue in orci
dentro pareti buie ove l’assenza
d’una speranza nutre fuochi lerci.
Ti senti vile e tutti i giorni avanza
un resto d’avaria alla tua bile:
la danza macabra, la testa china
come il silenzio imploso a tracotanza.
Legno consunto, baco del barile
privo di lustro, martire in vetrina.
Senza riparo
(Dedicata ai pastori rumeni barbaramente uccisi a Castelrosso)
Raggiunto il bosco è il cielo il suo riparo
azzurro ancora intatto brilla vivo
quando il respiro fa tremare un faro
e il sale brucia il sonno del sollievo.
Sente il sicuro lui, la furia spenta
nel fumo nero al letto di metallo
nel sangue del fratello al cimitero
di Castelrosso, al prato del pastore.
Poi il nero-solo-nero come il cielo
e come i guanti stretti sul bastone.
Nebbia che cade – punta di un macigno –
la madre che gli tira giù il cappello.
Lontano inverno, la carezza cede
al vento e buio il bacio che ha strozzato.
Indifferenza è carne che s’incrocia
Cammina nell’autunno ancora acerba
mattina di bambini e di pacciame
attorno gonfie viscere – letame –
il male vomitato dentro serba.
Il marciapiede scotta di ferocia
il transito singhiozza nella buca
con la foga tatuata sulla nuca
indifferenza è carne che s’incrocia.
Adombra il vento un oasi che acquieta
d’altare assente altrove – dolce grata –
e s’apre al soffio d’alberi la meta
come il grido di bile macinata.
Sul sangue della lama sparge seta
e un cordolo di tregua alla giornata.