La donna, a chi non l’ama
Non sanno
che al velo hanno cucito voci
e nascosto strazi,
non sanno la pelle
distesa per il respiro
Qual è, da dove soffia
il vento amico?
che spoglierà la donna
nel mondo che l’ama
-intera
Ho da dirti tante cose
toccare germogli
arrampicare mani,
ho bisogno di aprire porte
e farmi io stessa luce…
non so se sono bastati gli occhi
nere fessure, più volte mute
Ho sentito che m’aspettava
fuori e più dentro, l’amore vero
e sono uscita dalla gabbia
Per questo, m’hanno colpita a sassi
come scalpelli, per rivestirmi a modo loro
Ho un abito nuovo, ora,
il rosso scelto – dicono- mi dona
Il paese delle donne cucite
A serbar virginea purezza
di gratuita legittimità
si veste mano chirurga.
Il piacere è reciso e cucito
ben custodito
dietro uno spillo
e non nuoce all’uomo
padrone di vite straziate.
Non gli lasciano segni
il dolore perpetuo
o gli sfregi
da sottomissione.
Fugato è il demone
della lussuria
annullata la tentazione
dalla mente e dal corpo.
Innocua la donna
che di labbra
mantiene quelle del volto
il cui darsi è dovere
ripagato nel sangue
procreazione sofferta
in nefasto patire
e morte precoce
un dettaglio…
mero effetto collaterale.
Nota:
la Somalia, dove la pratica dell’infibulazione è subita da un’altissima percentuale di donne, è stata definita dall’antropologo de Villeneuve “le pays des femmes cousues”. Da tale dicitura ho dato il titolo alla poesia.
Mentre resta il fiore d’agave
Mentre resta sull’acqua
quel vecchio fiore d’agave
ho perso l’abitudine
di contare i flutti e anche i viaggi
e quanti vetri
lisi dall’aria del domani
sono ambientati qui, nel giro
che fanno gli occhi
da una piccola morte
e morbidezze imbambolate.
Mai svegliatemi
da questo nocciolo ispessito
oscuro di galassie
non ho che due carezze
di cura autentica
e sorrisi in ginocchio
come uccellini
nel petto di gennaio.
Paesaggi di sognatori a sedimenti
Di paesaggi morti ho sciolto l’arido
io che temevo le risonanze mute delle dune
Circostanze fiabesche
m’hanno iscritta al circolo dei sognatori
del tipo a sedimenti
Di acqua sento rantoli, echi nei telescopi
Piove, piovi
l’azzurro sui palmi aperti
sulla faccia che cambia pelle
e giù villi, come onesti accattoni
cercare gocce spermatiche
vita nuova
Di viaggi e derive sono pieni i tomi
e la carta straccia nei cestini,
si scoprono cerimoniali di rami secchi
e gioie menzognere allargare nebbie
Superstite di amor terreno
a novecento leghe dalle radici
s’è assolta l’anima, l’eterna ingenua
che non sa più dove collocarsi
GrandMa
Gira fra le cose importanti
dello scrigno di polveri
poggiata a un bastone
che cederà –facile –
al suo peso di nervi
Lo sguardo al mosaico
di pampini sul pavimento,
cerca l’ago e la cruna
il bandolo e fibre scucite
dalla trama dei nomi
In un sincopato balletto
braccia al cielo e occhi nodosi
fa il verso ai suoi anni lontani
“Eh, questi uomini! il migliore
non l’ha conosciuto nessuna…”
Torna a riempir la poltrona
con incognito riso
e la memoria, fuggente
Grandissima Rita. Leggo, rileggo e infine rabbrividisco.
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