L’amore violato
Ogni giorno assaporo un connubio di morte e d’amore
vedo ombre al mattino ed il mio ieri divenuto già sera
il sapore di terra che raschia la gola
ed è come se fluttuassi in un liquido amniotico
quando mi esibisco in una farsa d’amore
e sento in agguato la paura che cresce
il dolore che arriva danzando, la vita che si sfila da un angolo
i sensi che diventano afoni
ed io resto naufraga in braccia che sono prigione
tra gambe che sono il mio carcere.
E poi ogni volta c’è un lampo,un abisso di rose disfatte
lui che diventa coltello
la sua bocca che esilia la mia
e capto solo l’odore di alcol e di erba
la riva del mio ventre che urla
la carne che diventa di legno
l’ombelico una fossa
ed anelo solo alla morte, ad una finestra aperta sul mare
mentre la pendola batte i rintocchi dell’ultima ora
dell’amore anche oggi violato
ed a mezzanotte si ferma su un sogno svanito
sul dolore, sull’ansia
sul mio seno che germoglia nel nulla
sui miei capelli diventati di brina.
Il cielo d’agosto
Cosa ci faccio qui
sotto questo cielo d’agosto che non è mio
prodigo figlio dell’insonnia
leggero di nulla
coperto d’ortica e rose rampicanti?
Vedo solo il mio vestito di cotone
un’anima lunga come la sera
in questo giorno di conchiglie e pietre capovolte
il cuore nero di un uomo balzato fuori dalla notte
scintillante fra le frasche
a celebrare un amore rubato di umori e mancanze
non ci sono sciami di baci nella stanza
solo sangue sulle mie gambe nude
il ronzio dell’ape
una nuvola in movimento oltre il cortile
che attecchisce sul mio corpo laccato d’oro
in un tempo leggero di libeccio
incredulo e barcollante di pioggia fuggiasca
e brilla lieve
un’unica stella di asfalto in questa notte stanca
strampalata
inutile come un dolore.
Apostasia d’amore
Adesso che vedo sulla neve le orme di mio figlio
così leggere, con un azzurro dove si posa l’ombra
tutto è piagato,immobile
il cielo che si allarga e si ispessisce
l’anima che si accascia in una marcia stentata
la morte che mi cresce addosso come un tralcio di vite
ogni giorno penso alle nuvole morbide e tristi
a quella corda stretta al collo
al sole ed ai suoi raggi
alle estati perdute che ritornano, ad una ad una
prendendo il loro posto senza inganno, senza alcun dubbio
indugio pensando ad un pallone che echeggia tra i muri alti
al profumo improvviso del trifoglio
al calore dolce e rude dell’amore
alle dita di mia madre che si stringevano in instancabili cadenze
ora che la malasorte ha dettato le sue parole sapienti
ed è dolce il cenno della falce
che mi attende oltre la pergola, al crocevia delle stelle.
Oggi guardo il mare, il confine del sogno
nel mio abito di porpora e con la corona d’oro
contando sulle dita le poche stagioni che mi restano
abbracciando il mio Dio dagli occhi luminosi
il mio Dio del disincanto.
Fuori nevica silenzio e non c’è neve.
L’assurdo ride
Ora che le mie mani sono vuote
ed il profumo della menta si mescola alla malva
ora che le foglie volteggiano nella pioggia d’autunno
scolorite,ormai quasi morte
sento l’anima che lacrima nella notte
ed il tempo che dorme in una nudità azzurra
insieme all’amore lasciato sulla porta
come una cosa dimenticata,ormai persa
la luna si incurva in colline senza fine, in strade grige
tra la penombra delle siepi e l’ombra delle stelle
ed io chiudo le finestre, stanca di essere donna
stanca della mia bocca rossa,dei miei trucchi
dei miei seni floridi, dei miei fianchi stretti
stanca degli uomini vogliosi seduti accanto a ciò che offro.
Ed oggi che mi sento di passaggio
abbandonata nel volo indeciso delle nuvole
mi perdo sottovoce
con la voglia di spegnermi nel fragore che c’è attorno
sola con me stessa e contro tutti
e così giro la chiave dell’auto in una luce senza peso
rallento i battiti del mio cuore
mentre il dolore si fa margine
ed alla deriva c’è solo l’orgasmo della morte a tenermi compagnia.
“Fuori il mare ride,l’isola ride,l’assurdo ride.
La stanza stretta
Sono senza connotati le donne della stanza stretta
sottili come grano,commoventi nel loro pudore
arrese a gelide raffiche di pioggia
minuscole, confuse in un vuoto troppo grande
non hanno più sogni le madri della stanza stretta
si girano e rigirano nel sonno
vestite di foglia
la linea del rossetto oltre il bordo della bocca
il corpo precipitato nell’inverno
violentato da ombre d’argento, già teso al massacro
inventano parole per dar voce alla paura
in una temporanea assenza di sé, come se non ci fossero
arrese alle voglie dei soldati
quelli con la testa di tigre sul distintivo giallo
le uniformi lucide e pulite, il cuore sporco
arrotini feroci e ombrellai di stelle rugginose.
Fa male il tempo nella stanza stretta
le vite degli altri sono vento
l’orrore indossato ogni giorno della vita assomiglia al silenzio
e le labbra della sera sanguinano in un infinito bacio di dolore
come un fotogramma di una pellicola inceppata
stanno immobili le donne della stanza stretta
con una maschera di seta quasi vera
cadendo in un vuoto dove tutto è immenso
mentre fuori il trito canto dei grilli si dissolve al nulla
assieme alle lacrime ed al verso fioco di un’allodola di bosco.
Ormai senza più voce.