La bambola sul comò
Ho un vago senso del dolore, sai,
quando con calma frugo il giorno
e si scompiglia facilmente anche
la bambola a cui non ho mai dato
un nome. Lei mi guarda di soppiatto
dal comò; non le riesce di somigliare
neanche un po’ alla ballerina di Degas
riflessa nello specchio, ma io lo so
che non è sua la colpa, è il talento
che fa la differenza tra ciò che siamo
e l’ipotesi di noi che non seguiamo.
Il mio talento invece è amarti, e
amarti è anche la mia colpa, però
di noi non resta che un’ipotesi
che sembra più che altro una sconfitta.
Lo so ogni volta che tu entri dalla porta
e ti accanisci sul mio corpo arreso
alla tua idea di amore che lascia
la sua scia di sangue e di livore.
La bambola mi guarda e sembra che
abbia anche lei voglia di piangere,
si chiede dov’è il nuovo punto di frattura,
sperando che mi lasci varcare presto
e in uno scatto la soglia che mi separa
da me stessa, dalla vita che avevo,
quando allo specchio le mie gambe
imitavano le delicate forme di una
ballerina sulle punte e i sogni avevano
ancora la leggerezza della neve…
Siamo memoria
Siamo le ruote sdentate,
senza più ingranaggi,
arrese al gelo e al fango,
ferme nel pantano.
Siamo spartiti vuoti,
senza pentagrammi,
le stringhe mute,
strappate dai violini.
Siamo il vento cupo
che soffia nel canneto,
la voce delle canne
sopravvissute alle stagioni.
Siamo il roseto nudo,
sfiorito nell’inverno
che vedrà solo spine
vestirlo a primavera.
Siamo l’albero divelto,
senza più rami né radici,
il terreno che frana
racconterà l’assenza.
Siamo il tappeto in piazza
di vuote scarpe rosse,
steso sul filo del ricordo
a riecheggiar le nostre storie.
Siamo il sangue versato,
memoria del dolore
che il monito rinnova:
“No, non chiamarlo amore!”
Il marchio del possesso
Ti sei abbarbicato scalzo
sul comignolo nero
sul tetto della mia solitudine.
Da lì ogni tuo gesto poi
si è fatto strale che colpiva
per affondare nella carne.
Mi hai prospettato, scaltro,
cieli infiniti di orizzonti
e tramonti fra pelle e mare,
ma sulla pelle hai inciso poi
il tuo nome, il marchio,
la gloria oscena del possesso.
Il mio nome finì nelle tue mascelle
in uno sputo e un grido rabbioso
che faceva di me la tua puttana,
la carne già segnata dagli abusi,
gli occhi cerchiati e senza fondo,
l’anima il pozzo dove nuotavano
le stelle senza trovare approdo.
Di me è rimasto solo il sangue
sparso sopra il pavimento freddo,
i vestiti vuoti appesi nell’armadio,
le scarpe con i passi fatti, nel tentativo
estremo di portare in salvo le mie ossa
e il mio profumo appiccicato
alle tue dita quando le hai strette
intorno al collo come un cappio,
prima di fracassarmi il cranio,
quella testa matta, incapace
di apprezzare il tuo profondo amore.
Non avrò
Rinascerò nebbia,
non avrò più volto,
né consistenza certa,
non avrò più odore,
breve rincorsa alle narici,
né fragranza di rose.
Non avrò mani
tese ad implorarti,
né voce di preghiera,
non avrò passi decisi
e rapidi di schiena,
né punti certi di fuga.
Non avrò occhi
pronti alla definitiva resa,
né bagliore di fuoco fatuo.
Non avrò semenza
di giorni avidi di messe,
né promessa di vita nuova.
Non avrò più bocca
stagliata nella luce,
né bozzolo di sorriso.
Avrò solo grumi di parole
da scorticare dai rami
senza gemme a primavera,
ma della mia morte
parleranno i fiori rossi
tra le lunghe spighe,
che non potrai spezzare.
Qui dentro
Qui dentro ormai
non risuonano parole,
sbarrato è l’uscio
e il piede scalzo
scivola e arranca.
Qui dentro ormai
non c’è riparo
e piovono dagli occhi
frammenti di passato,
squarciata anche la retina.
La luce che filtra
si muove discreta
nel silenzio incolore.
Gocciola un bicchiere
da cui non posso bere,
mentre la mia bocca
non trova più parole.
Conto le mattonelle
a cui arriva il mio sguardo,
l’ho fatto tante volte
per distrarmi dal dolore
dopo lo schiaffo, il pugno,
la spinta e infine il calcio,
il gelo del pavimento
accoglie la mia resa…
Ora non conto più,
né asciugo il sangue
sulle mani di chi ho amato
e ha spento tutte le mie stelle.
Ora non può più farmi male.
Versi che testimoniano ancora di più il valore di una poetessa che sa imprimere sulla carta tutta la sua anima
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Poesie molto belle.
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Un grande talento! Davvero belle e profonde
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Complimenti.
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Impressioni dai tratti quasi onirici, che l’intimità della coscienza muta in profonda e avvolgente bellezza
(Giuseppe Guidolin)
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Poesie che toccano l’anima
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Versi che suscitano sensazioni profonde, comunicazioni di un’anima che si interroga su dolori e sentimenti
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Congratulazioni
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Brava❤️👏🏻👏🏻
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Bellissime metafore! Gli ultimi versi di La bambola sul comò.. stupendi! Viene voglia di leggerla di nuovo la poesia, di entrarci, di leggerne altre! Complimenti davvero!!
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Complimenti 👏🏻
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👏🏻👏🏻👏🏻
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❤️❤️grande
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Sono davvero molto belle.
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Le poesie di Valeria colpiscono come colpi direttamente al cuore e lasciano il segno come ferite ma nonostante il crudo realismo non sono prive di bellezza
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Queste righe arrivano davvero al cuore
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Complimenti prof!❤️
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Versi diretti
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Poesia
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Pennellate di sentimenti
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‘La bambola sul comò’ mi ha commossa, davvero.
Quando dei versi sono in grado di raccontare una storia, e di far immedesimare il lettore, vuol dire che lo scrittore (in questo caso la scrittrice), ha fatto un ottimo lavoro!
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Poesie crude e meravigliose allo stesso tempo! Fantastico! Raccontano molto, sono ricolme di sentimenti, che arrivano diretti al lettore!
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Complimenti davvero!
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Emozionante!
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Poesie splendide.
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Che belle! 😍
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😍😍😍
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Bellissima 👏🏼❤️
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Complimenti!!!
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Poesie molto belle
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Poesie profonde
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Emozionante
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Bellissima
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Il marchio del possesso.. è forte, molto esplicito!! Wow!
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Le poesie di Valeria sono profonde, sincere, vissute nell’intimo di un’anima che tira fuori espressioni secche dure calzanti senza sconti o sotterfugi retorici, parole stimolanti e vibranti di amore puro.
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